Ragazze palestinesi

Elham. Sui passi della speranza per le famiglie di Gaza

Lucia Borgato19 janvier 2024

“Quando vedi una donna o un bambino soffrire vuoi solo fare qualcosa per lui. E’ sempre bello vedere che molti dei bambini che ho aiutato sono tornati a ringraziarmi.”

Elham è una donna musulmana di Betlemme che aiuta da sempre famiglie povere e bambini in difficoltà che non hanno i genitori. Da ottobre, Pro Terra Sancta collabora con la sua associazione per far giungere alla Striscia beni di prima necessità per le famiglie in difficoltà. Preoccupata per un’emergenza umanitaria sempre più grave, racconta il suo impegno per aiutare gli ultimi a Gaza.

Elham, come trovi queste famiglie da aiutare?

Prima di fare questo lavoro, ero già impegnata nel campo dell’assistenza umanitaria e conoscevo già quali erano e famiglie povere e in difficoltà. Prendo i nomi da queste liste e così so chi aiutare.

Appartieni a qualche associazione in particolare?

Si, lavoro per una associazione che si chiama “Tarikh al-Khayr”, che significa “sui passi del bene”.

Che rapporti avete con Pro Terra Sancta?

Vi ho conosciuto qualche anno fa, perché ci aiutavate a raccogliere beni di prima necessità per le famiglie bisognose. Il rapporto si è intensificato durante questa stagione invernale, perché abbiamo raccolto e portato tanti aiuti a Gaza.

Come arrivano i pacchi nella Striscia?

Non tutto il cibo e non tutti i pacchi sono potuti entrare a Gaza: l’esercito li blocca. Ciò che viene lasciato entrare è solo una piccola quantità che purtroppo non è sufficiente. Altre ONG sono riuscite a far entrare dei pacchi (come quelle del Qatar o dell’Arabia Saudita), ma non a sufficienza per la necessità che c’è. Molti pacchi sono ancora fermi al confine.

Di quello che avete preparato per Gaza, cosa è entrato e come?

Ho spedito circa 700 vestiti in Giordania e sono riusciti a entrare a Gaza, ma è stato molto difficile ed è costato molto di più rispetto a quanto sarebbe costato spedirli da qui a Gaza direttamente. Il capo ufficio (dell’associazione) è riuscito dalla Giordania a farli arrivare a Gaza, passando prima per l’Egitto, per via aerea o attraverso dei camion, insieme ad altri aiuti spediti dal Qatar e Arabia Saudita. Quando la guerra era iniziata, spedivamo soldi tramite le schede sim dei cellulari (ai numeri di telefono a Gaza), poi li potevano usare nei supermercati per comprare il cibo. C’è ancora del cibo lì, ma i prezzi sono triplicati. 10 chili di farina prima costavano 60 shekel (15€ circa) ora sono 700 shekel (200€ circa). La gente non ha più accesso al proprio denaro perché le loro case e tutti gli altri edifici sono stati demoliti, e non sanno neanche dove si trovano i loro soldi. Scatole di cibo per 800 persone costano 25.000 shekel (6.250 euro, circa 7.5 euro per ogni lunch box).

Quali difficoltà avete a far giungere gli aiuti a Gaza?

Per me non è un problema spedire i pacchi, ma tutto dipende dagli israeliani che aprono e chiudono il confine. L’idea era fare delle foto delle carte d’identità per capire quanti figli ha una persona e capire quante cose mettere nei pacchi. Su ogni pacco mettiamo il nome e il numero di telefono della persona che deve ricevere quel pacco e dentro mettiamo anche 500 shekel per comprare latte per i bambini e altri prodotti per l’infanzia.

Quante persone lavorano con voi?

Siamo sette persone dello staff e 30 volontari. Siamo presenti in diverse città della Palestina come Tulkarem, Jenin e Nablus. Ora stiamo aspettando il permesso di entrare a Gaza, che dovrebbe arrivare con il “cessate il fuoco”. In caso passeremo da Rafah. Dalla Giordania in aereo si arriva in Egitto, al Cairo, e da lì si raggiunge Rafah.

Riuscite a essere in contatto con le persone che aiutate a Gaza?

Dipende dalla connessione, a volte mi chiamano e poi io li richiamo. Si trovano in diverse zone della Striscia e sono stati sfollati almeno quattro volte. Ora si trovano a Rafah, prima erano rifugiati nelle scuole ma quando l’esercito israeliano ha iniziato a bombardare le scuole hanno preso i loro bambini e sono scappati a Rafah. Ora vivono nelle tende, che tuttavia scarseggiano e molte persone hanno preso teli di nylon e hanno costruito delle tende. Quando piove è impossibile vivere, il campo si riempie di fango. Cerchiamo di aiutarli anche a comprare i teli di nylon, e per ora siamo riusciti ad aiutare 100 famiglie. Ogni rotolo di telo costa circa 600 shekel (circa 150€).

Molte malattie si stanno diffondendo a Gaza perché non possono mangiare cibo pulito e tutto è sporco. I bambini hanno i pidocchi e a causa della sporcizia e si stanno diffondendo molte malattie della pelle. Le donne che sono incinte sono costrette a partorire nelle loro case, o dove possono. Per fare un paragone, nel 2002, quando c’era stato l’assedio della Natività a Betlemme, c’erano persone che si erano incaricate di ospitare persone sfollate nelle loro case. Provvedevano a tuto, procuravano vestiti, cibo, prodotti per l’igiene personale. Provate ad immaginare cosa vuol dire ora la situazione a Gaza in queste condizioni. Ora non hanno neanche il minimo indispensabile per vivere.