Il tesoro dei depositi sotterranei e della biblioteca del Convento di San Salvatore: Il nostro progetto “Libri ponti di pace” alla scoperta di inedite presse per la stampa, caratteri in metallo ed il primo libro in arabo stampato in Palestina dai frati francescani

Amy Rodriguez23 Aprile 2021

Sono sorprendenti le novità scoperte all’interno del progetto “Libri ponti di Pace”, ideato anni fa dal Prof. Edoardo Barbieri, direttore del Centro di Ricerca Europeo Libro Editoria Biblioteca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con Custodia di Terra Santa e Associazione pro Terra Sancta. Nonostante l’emergenza Covid-19, il progetto continua a regalarci splendidi risultati come la mostra online che ripercorre la storia del laboratorio tipografico creato dai frati francescani a Gerusalemme nel 1847. Volumi preziosi recuperati dagli archivi del convento di San Salvatore, caratteri metallici, presse per la stampa e strumenti da lavoro riscoperti nei polverosi depositi sotterranei di Gerusalemme vecchia fanno parte di un patrimonio culturale che con pazienza e dedizione, grazie all’aiuto di tanti giovani guidati da un comitato scientifico degno di nota e ospitati da Pro Terra Sancta, vengono ora condivisi col mondo con un grande obiettivo: tramandare alle generazioni future la storia e l’identità di una città affascinante e complessa e dei suoi abitanti intraprendenti e innovativi. In occasione della Giornata mondiale del libro 2021 vogliamo parlarvi, insieme ad Arianna Leonetti, entusiasta dottoranda che da anni fa parte del progetto “Libri ponti di Pace”, delle ultime entusiasmanti novità relative alla Franciscan Printing Press, la tipografia dei frati francescani a Gerusalemme. 

Arianna, la Franciscan Printing Press nasce molto tardi rispetto all’invenzione della stampa, come mai?

 “In realtà i frati avrebbero voluto fin da subito uno strumento per stamparsi da soli i libri per le parrocchie, per gli studenti e per il seminario ma a Gerusalemme erano stranieri in territorio straniero, sotto il dominio degli ottomani. I musulmani sono sempre stati contrari alla stampa a caratteri mobili e il motivo è molto semplice: l’arabo viene trascritto omettendo le vocali e nella stampa a caratteri mobili se si sposta un carattere, cosa che può succedere quando la forma si imprime, viene modificata la pronuncia del vocabolo e si rischia la blasfemia. Nel 1833 però un sultano illuminato che riprendeva un po’ le teorie della Rivoluzione francese, decise di garantire a tutti i suoi sudditi uguaglianza e libertà, indipendentemente dalla religione, dalla nazionalità e dall’etnia. Di conseguenza la stampa fu liberalizzata ma ai frati, pronti ad aprire una tipografia, mancavano i fondi. Volle il caso che il Commissariato di Terra Santa di Vienna, riaperto da poco, avesse a disposizione una cifra altissima da investire. I frati di San Salvatore riuscirono a convincere il Commissariato a inviare a Gerusalemme un frate istruito nelle migliori stamperie dell’Austria insieme a caratteri, inchiostro, carta e una pressa. Il frate stampatore riuscì a mettere in piedi la tipografia in pochissimo tempo.”

Però la stampa è un processo complesso, come poteva un frate gestire da solo un intero laboratorio?

“Da luglio 1846, quando arrivò, a gennaio del 1847, quando il laboratorio iniziò a produrre stampe, il frate stampatore istruì adulti ma soprattutto i giovani dell’orfanotrofio all’arte tipografica. È come se si fosse creata una formazione su due livelli: la tipografia stampava i volumi che servivano alla parrocchia come i canti e le preghiere, i breviari e i libri di teologia per i frati e i libri per le scuole mentre nel laboratorio ai ragazzi veniva insegnato un lavoro. In una città come Gerusalemme, dove non c’erano tipografie ed era appena stata data la libertà di stampa, significava garantire a questi ragazzi la possibilità di avere un lavoro. L’impatto educativo fu impressionante: un po’ alla volta l’Impero Ottomano si aprì alla novità e permise ai francescani di triplicare il numero delle scuole presenti sul territorio. Questo significava anche aumentare il numero dei volumi che servivano agli allievi: sillabari, libri calligrafici, libri per imparare a scrivere e per imparare a contare, libri di dottrina come i compendi di storia biblica arricchiti da splendide illustrazioni per bambini. Fu un vero e proprio circolo virtuoso!”

La Franciscan Printing Press era davvero una tipografia attivissima. La possiamo definire un punto di riferimento nel panorama imprenditoriale gerosolomitano?

 “Assolutamente sì! Mentre i francescani aspettavano i fondi per aprire la loro tipografia, a Gerusalemme avevano già aperto la propria stamperia gli Armeni, i Greci e gli Ebrei. Loro però si facevano arrivare la manovalanza dall’Europa, e invece i francescani erano gli unici che impiegavano operai arabo-cristiani. Se i loro concorrenti lavoravano a singhiozzo per la cronica mancanza di maestranza specializzata, i frati, che avevano formato i loro impiegati sia a scuola che nel laboratorio, non fermavano mai la produzione. La Franciscan Printing Press era una tipografia che potremmo definire “rivoluzionaria”: il primo vero libro che stampano è il catechismo di San Bellarmino in arabo e in italiano. Questo libricino con poche pagine è il primo libro stampato in arabo in Palestina. Non solo i frati sono gli unici a stampare in arabo ma riescono anche a impiantare una fonderia per fare i caratteri, comprano un torchio calcografico per fare le immagini, imparano a fare le litografie… da quello che all’inizio era solo un piccolo esperimento, piano piano riescono ad arrivare ad avere un’officina tipografia di livello medio-alto. Tant’è che, quando arrivarono nel 1917, mandarono via i giovani turchi e iniziarono il loro mandato, gli inglesi si rivolsero alla migliore stamperia di Gerusalemme, quella dei francescani, per far stampare dei proclami da appendere per tutta la città.”

Ci hai parlato di volumi, proclami, torchi e caratteri. Dove si trova ora questo patrimonio immenso? È visibile al pubblico?

 “Quasi tutta la produzione della Franciscan Printing Press è conservata a San Salvatore e dubito fortemente che una stamperia o una casa editrice italiana abbia un archivio così, con tutti i volumi dal 1847 al giorno d’oggi. Fino agli anni ‘50-‘60 questo fondo librario è stato un po’ dimenticato ma grazie a ‘Libri ponti di Pace’, questo patrimonio è diventato di tutti. La svolta è stata la creazione di un catalogo digitale online. Gli studiosi della Terra Santa provenienti da tutto il mondo sono molto grati per il fatto di poter consultare il catalogo dei francescani di Gerusalemme da remoto. Ma non parliamo solo di libri: nei depositi abbiamo ritrovato delle macchine da stampa degli anni ‘50 che arrivavano dall’Italia, da Torino. Bellissimo anche il torchio in ghisa proveniente da Vienna e costruito nel 1860, conservato nell’ingresso della Curia. Mi hanno raccontato che si trova lì perché mentre lo spostavano, essendo così pesante, è caduto e si è smontato da solo. La cosa positiva è che lo possono vedere tutti. Ultima curiosità: la Franciscan Printing Press è in realtà ancora attiva, semplicemente l’hanno spostata a Betfage, a qualche chilometro da Gerusalemme. Nella stamperia odierna usano ancora macchine degli anni ‘50, delle Heidelberg che arrivano da una Berlino ancora divisa dal muro in Est e Ovest. Insomma, la Franciscan Printing Press testimonia i legami che esistono fra Terra Santa e il mondo e i suoi libri, i primi ad essere stampati in arabo in Palestina, sono stati veramente ponti di pace!”

Arianna, grazie per aver condiviso con noi la tua ricerca. Cari lettori, se siete curiosi e volete approfondire l’argomento, vi segnaliamo che nel prossimo numero di Terrasanta uscirà un’aricolo di Arianna sulla tipografia francescana. Non perdetelo!