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“A Gaza stiamo sempre peggio, continuate ad aiutarci!”. Intervista al parroco latino, padre Mario Da Silva

Giacomo Pizzi1 Ottobre 2019

Dal 2008 Associazione pro Terra Sancta sostiene l’attività caritatevole della parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza. Don Mario Da Silva, parroco della chiesa latina impegnato da diversi anni nella Striscia, ci ha raccontato le difficoltà e le problematiche che negli ultimi anni fino ad oggi persistono e richiedono sempre più aiuto e sostegno.

Don Mario, com’è la situazione oggi a Gaza? Cosa ricorda del suo arrivo?

Sono ormai otto anni dal mio arrivo a Gaza: sin da subito ho visto una situazione molto difficile, sono arrivato quando tutto era distrutto. Avevo un pensiero di consolazione, prima o poi la situazione migliorerà mi dicevo. Ma poi ho visto che ogni anno la situazione peggiorava sempre di più. Sono arrivato nel 2012 con la guerra, un anno dopo nel 2013 si sono chiusi i tunnel che permettevano alle merci di passare dall’Egitto a Rafah e arrivare a Gaza. Nel giro di pochi mesi i prezzi sono aumentati: per esempio la benzina da 30 centesimi è passata a più di un euro e mezzo (in valuta locale). E’ un peggioramento della situazione già problematica, visto che il tasso di disoccupazione in quegli anni raggiungeva il 40%. Nel 2014 interi quartieri sono stati distrutti. Dopo alcuni tentativi interni di stabilizzazione politica, ci siamo trovati davanti a un taglio generale degli stipendi del 50%. Pensate a cosa voglia dire ricevere uno stipendio dimezzato, con costi di vita altissimi e senza opportunità di lavoro. Almeno 120 venti famiglie cristiane si trovano oggi in vera difficoltà con il salario ridotto, e riescono solo a coprire i debiti con le banche. In 15 anni abbiamo perso più del 70 % della popolazione cristiana di Gaza: negli anni 2003 e 2004 i cristiani a Gaza erano circa 4.500; oggi i numeri si aggirano intorno ai 900-1000 cristiani.

Cosa occorre e quale aiuto portano i fondi  che vengono inviati?

Ancora oggi ci sono ancora molti problemi di elettricità, abbiamo solo otto ore di fornitura elettrica a turni, carenza di acqua pulita, servizi basici di assistenza medica e presenza di pessime condizioni igieniche. Dobbiamo capire come sopravvivere. Le famiglie ogni giorno devono cercare di mantenere quello che hanno per non cadere nella miseria assoluta. Sta sempre più aumentando la richiesta di aiuti sui bisogni base della vita quotidiana. Da un anno e mezzo ci siamo quindi attivati per organizzarci nella distribuzione di pacchi con cibo e medicinali. Inoltre la Chiesa, tramite i suoi donatori, sta portando avanti un progetto di creazione lavoro, di cui beneficiano 64 famiglie. Vogliamo sopperire alla mancanza di lavoro cercando di raggiungere principalmente i giovani che stanno sempre più andando via da Gaza.

Pensando ai vostri giovani, cosa vuol dire vivere “chiusi”?

I giovani vivono in questa prigione a cielo aperto e non hanno opportunità di lavoro: per questo non sanno come occupare il tempo. Inizialmente i nostri ragazzi, cercavano di fuggire da Gaza. E’ terribile per un ragazzo restare dentro un territorio di 5 Km, non poter essere libero e avere un futuro. Se non ci fossero tutti questi problemi, Gaza sarebbe un bel posto e con una prospettiva, ma essendo chiusa e con uno tasso di disoccupazione del 50 % è molto difficile prevedere un cambiamento. Un altro problema è che essendo la comunità cristiana molto piccola e avendo un numero di ragazze più alto, molte di queste cercano di uscire per sposarsi.

Come vede il futuro?

A Gaza non abbiamo un’idea di quando finirà tutto questo; è forse la prigione più grande del mondo. Da ormai due anni c’è sempre più disperazione, le persone di Gaza non hanno più solo necessità di libertà, ma di beni di prima necessità per sopravvivere. Proprio per questo puntiamo sul cibo, medicine e lavoro. La base per poter costruire un  futuro.