A Gaza una Pasqua di perdono e speranza.

Andrea Avveduto29 Marzo 2024

Gerusalemme si prepara a una Pasqua diversa dal solito, carica del grande dolore che quest’anno ha colpito tutta la Terra Santa. La situazione dovuta agli scontri iniziati il 7 ottobre dell’anno scorso ha generato una gigantesca crisi umanitaria a Gaza, dovuta ai bombardamenti e al blocco degli aiuti imposto da Israele.

Particolarmente drammatica è la storia dei membri di alcune famiglie di Gaza che, prima della guerra, avevano ottenuto il permesso di portare i propri figli affetti da rare patologie cardiovascolari all’ospedale di Tel Aviv. Con il 7 ottobre è stato vietato loro di rientrare nella Striscia, e da mesi sono bloccati in Cisgiordania. Si tratta di brandelli di famiglie, di fratelli, genitori e figli separati dalla guerra. “Ormai facciamo fatica anche solo a entrare in contatto con i nostri parenti, non hanno né corrente elettrica né connessione internet. Non sappiamo chi di loro è ancora vivo.” Così parla una di loro che sotto i bombardamenti israeliani ha perso 4 figli che non potrà più riabbracciare. Due bambini corrono sulla terrazza degli uffici di Pro Terra Sancta di Betlemme e salutano gli aerei da guerra israeliani che rumorosamente solcano il cielo della città, diretti verso Gaza, verso ciò che rimane della loro casa. Ormai della nostra città non rimane più niente, solo un cumulo di macerie. Abbiamo perso la casa, il lavoro, la famiglia.” È difficile per queste famiglie continuare a condurre la loro vita nonostante siano lontane da casa, nonostante non abbiamo più una casa dove tornare.

Il dolore di cui è carica questa Pasqua è espresso anche dalle parole di suor Nabila Saleh, religiosa cattolica egiziana che da tredici anni vive e opera a Gaza alla Rosary Sister School. Nabila è bloccata ormai da mesi sotto i bombardamenti israeliani, senza la possibilità di ricevere nessun tipo di aiuto umanitario né per sé né per le 650 persone rifugiate nella struttura: In questo momento abbiamo bisogno di tutto e non riceviamo niente, nessun tipo di auto. Il 90% della comunità cristiana ha perso la propria casa a causa dei bombardamenti, i bambini hanno perso le scuole, gli adulti i luoghi di lavoro. Non c’è più futuro per noi qui.” Tra le persone rimaste bloccate nel complesso molti sono gli anziani, i bambini e le persone fragili che hanno bisogno di ogni tipo di assistenza per poter sopravvivere, assistenza che al momento non possono ricevere.

“Non esiste un solo luogo sicuro in tutta Gaza, neanche l’edificio dove ci siamo rifugiati lo è.” In questi mesi i bombardamenti hanno colpito ogni tipo di struttura: case, ospedali, mercati e scuole. La stessa Rosary Sister School è stata colpita più volte, trasformando una delle scuole più belle di Gaza in un cumulo di macerie, distruggendo ciò che suor Nabila aveva costruito in 13 anni di missione. “Non penso che la situazione potrà mai migliorare” dice con sconforto.

Nonostante la distruzione e la morte, la religiosa non perde la speranza: “La cosa veramente bella di questi giorni è la fede in Dio e nella sua Provvidenza. Nonostante la via crucis che stiamo vivendo, ci sostiene la fede che dopo la nostra morte avremo la Resurrezione, come ci è stato promesso da Gesù Cristo che a sua volta, come noi qui a Gaza, ha patito grandissime sofferenze.” E da queste parole di Nabila trapela la consapevolezza che tutto il dolore che sta attraversando non è vano.

La situazione è difficile in tutta la Terra Santa, ma suor Nabila, senza esitazione, afferma: Nel mio cuore c’è spazio per il perdono di coloro che stanno facendo tutto questo a me e alla mia comunità”. E così prendono consistenza le esortazioni alla pace fatte da sua eminenza Pierbattista Pizzaballa nel discorso tenuto in Università Cattolica sulla “Necessità di pensare la pace in Terra Santa”: “I due discepoli di Emmaus, […] vedono le piaghe gloriose di Cristo, e solo alla luce di queste comprendono le loro ferite e tornano nella Città Santa. Si incontrano con il ‘Guaritore ferito’, Gesù Cristo, che cura le loro piaghe con le sue piaghe. Anche le nostre ferite personali […] possono esser trasformate in occasione di maggior comprensione delle ferite degli altri e in strumenti di aiuto e salvezza in loro favore.” E solo così la Pasqua, nonostante tutto il dolore di cui è carica quest’anno, diventa occasione di guardare alle proprie ferite come a un dono fecondo capace di far scaturire il perdono, così come le piaghe di Cristo sono simbolo della misericordia di Dio per gli uomini.