BETLEMME

Nel luogo in cui è nato Gesù,

un aiuto ai bambini più fragili.

Il giardino di Aida

Alla fine cosa possiamo fare di più per questi bambini, se non amare tutto di loro con tutto noi stessi?”

Noi sfidiamo le leggi della scienza! Questa frase ci accoglie appena entrati a Hogar Niño Dios. A pronunciarla è stato Simone, un fisioterapista italiano in pensione, che ogni anno trascorre sei mesi a Betlemme per curare, per quanto possibile, i bambini di questa casa di accoglienza in Palestina. Entrando lo abbiamo incontrato mentre, grazie un complesso deambulatore legato al suo corpo, fa camminare la piccola Yasim, una bambina di 7 anni con pesanti malformazioni genetiche. Sul suo viso di bambina è stampata la gioia per ognuno di quei

piccoli impossibili passi che le cure e l’amore di Simone le stanno facendo fare. La nostra guida è una delle suore che gestiscono questa grande casa; è argentina di origine, ormai da molti anni la sua missione è a Betlemme. Il suo italiano è stentato, i suoi occhi sono fermi e dolci; traspare la fatica di ogni giorno, ma anche una serenità quasi inspiegabile. Ci mostra le sale di Hogar, dove i bambini giocano con i volontari di ogni nazionalità. Ci mostra le sale giochi, i deambulatori, uno diverso per ogni bambino come diversi sono i loro bisogni.

“Strumenti costosissimi, ma grazie a Dio ci dice la nostra guida ospedali e donatori permettono di averne a sufficienza”. Passiamo poi per una grande sala adibita a magazzino dove, sotto mille cianfrusaglie, si intravede la struttura di una vecchia piscina. La nostra accompagnatrice ci rac- conta che vorrebbero usarla per la fisioterapia acquatica di cui tutti i loro bambini avrebbero grande bisogno. Purtroppo però, dei gra- vi difetti di costruzione rendono la piscina inutilizzabile e come se non bastasse le docce sono trop-po piccole e non agibili da carrozzine. Alzando i suoi occhi chiari al cielo ci guarda e sospira “Se Dio vuole, riusciremo a metterla a posto. Per adesso è troppo costoso.”

Usciti nel giardino solcato dal sole di mezzogiorno ci ripariamo sotto l’ombra di un grande albero e ci guardiamo intorno. La nostra attenzione cade su una bambina che senza sosta gira in cerchio, tenendo la testa inclinata con un sorriso bello stampato sul volto. Sembra mal tollerare il volontario che la insegue pregandola di andare a sedersi all’ombra e, anzi, ogni volta che questi prova a toccarla aumenta il passo, come volesse scappare. Appena la nostra suora vede questa scena, si avvicina sospirando alla bambina, la ab- braccia, le rivolge qualche parola in arabo a cui riceve come risposta una voluminosa scossa di capo. Con un altro sospiro si avvicina al volontario e gli dice “Sai come è fatta, non c’è verso, bagnale spesso la testa e falle compagnia.”

Tornata da noi, visti i nostri sguardi interrogativi, comincia a raccontare: “Lei è Aida, ha la sindrome di Down. È con noi da un paio di anni e da quando è arrivata ogni secondo libero lo passa in giardino. Purtroppo i bambini come lei non vengono facilmente accettati dalla loro famiglia qui in Palestina, anzi, spesso vengono visti come una disgrazia.

Sua mamma le vuole molto bene, ma suo papà… si vergognava di lei a tal punto che la teneva costantemente legata al tavolo della cucina, così che non potesse uscire di casa dove qualcuno avrebbe potuto ve- derla. Ha passato i primi dieci anni della sua vita chiusa in quella stan- za. Quando il padre andava al lavo- ro la madre cercava di lasciarla usci- re, ma le volte che il marito tornava prima dal lavoro e la vedeva slegata si arrabbiava moltissimo. Non po- tendo vedere la figlia in quello stato si è rivolta è noi, e così la abbiamo presa nella nostra casa. Da quando ha visto il giardino vuole sempre sta- re qui. Con la pioggia e con il sole. È faticoso gestirla qua fuori, ogni tanto penso che dovrei costringerla a rientrare, ma il suo sorriso mi fa cambiare idea ogni volta. Alla fine cosa possiamo fare di più per questi bambini, se non amare tutto di loro con tutto noi stessi?”

Il nostro viaggio per Hogar si con- clude così. Hogar è una realtà che si dedica alla cura di bam- bini con disabilità che non pos- sono essere accuditi a casa per questioni famigliari. Il cuore dell’organizzazione sono tre suore dell’ordine del Verbo Incarnato, e tantissimi volontari, ovviamente. Pro Terra Sancta sostiene questa realtà e sta creando un progetto per poter restaurare la piscina e le docce di Hogar, così da garanti- re a questi bambini la fisioterapia acquatica di cui hanno bisogno, ol- tre ad aver destinato uno dei suoi volontari del servizio civile all’assistenza dei bambini che vivono in questa casa.

La famiglia di Aida viene spesso a trovarla. Ha due fratelli che le vogliono un mondo di bene e, in- sieme alla mamma, ogni volta, si commuovono a vederla così felice. Anche il padre è venuto a trovarla qualche volta; è rimasto sorpreso del bene con cui le suore accudi- scono sua figlia.

bambini hogar nino dios 2023