Vista di Beirut

Un Libano resiliente: intervista a Guendalina Sassoli

Emma Garroni12 Aprile 2024

“Pensavo di trovare un paese impaurito, sfiduciato dall’ennesima difficoltà che si profila all’orizzonte – la guerra imminente – invece ho trovato un Libano resiliente. La città era caotica, parlando con i giovani di Beirut non si ha l’impressione di avere di fronte persone prive di futuro. Insomma c’è ottimismo, nonostante il salario medio sia di 90$ al mese e un caffè abbia lo stesso prezzo del centro di Milano.”

Nei primi giorni di aprile, accompagnata dall’arrivo della primavera, la nostra collaboratrice Guendalina Sassoli – una delle responsabili del progetto WIP – è andata in Libano, a Beirut, insieme a Paolo Fumagalli – presidente dell’Advisory Board di WIP – per seguire i progressi delle start up che Pro Terra Sancta sostiene attraverso il progetto. Le abbiamo chiesto di raccontarci del viaggio, curiosi di avere notizie sul paese, sull’andamento delle attività e sui ragazzi che le gestiscono. La prima cosa che ha fatto appena arrivata in città è stata scendere per strada, nel quartiere dove ha sede l’ufficio di Pro Terra Sancta, per raccogliere le impressioni e i pensieri di chi realmente abita la città di Beirut.

Che clima hai percepito facendo queste interviste? Qual è la sensazione più diffusa oggi tra i giovani libanesi?

Ho voluto parlare con i passanti per fare una chiacchierata: desideravo risposte spontanee, non quelle preparate per un’intervista condotta in un ufficio. Ho intervistato cinque ragazzi e un giovane barista, e le loro risposte alle mie domande sul futuro del Libano sono state sorprendentemente positive: hanno l’impressione che la situazione nel paese migliori di giorno in giorno, e che un futuro per loro non sia solo possibile, ma praticamente certo.

Da cosa credi che dipenda questo ottimismo? È un clima che stupisce, pensando alla situazione in cui attualmente si trova il Libano…

La ragazza libanese che abita in Francia seduta al tavolino di un bar.

Credo ci siano diverse ragioni dietro queste risposte inaspettate. Innanzitutto è importante tenere presente il contesto di queste interviste: il nostro ufficio a Beirut si trova in una posizione centrale, in una zona fortemente occidentalizzata, quindi parlare con persone che si ritrovano lì per bere un caffè significa confrontarsi con una certa fascia della popolazione, che non si può considerare rappresentativa dell’intera comunità. Inoltre una ragazza con cui ho parlato abita in Francia, e anche questo è un elemento che terrei in considerazione: chi, come lei (e come gli altri 12 milioni di libanesi che se ne sono andati), non vive in Libano un futuro lo vede chiaramente, perché se lo sta costruendo altrove.

Altri però vivono proprio a Beirut, come il barista che ho incontrato: lui aveva trovato lavoro all’estero, in Iran, ma ha deciso di tornare a vivere e lavorare in Libano. Il suo stipendio in Iran non era più alto di quello che avrebbe guadagnato a Beirut, e trova che qui ci sia una qualità della vita più alta, e prospettive migliori. Quando gli ho chiesto quale sia, secondo lui, il futuro del Libano mi ha risposto così: “La situazione ora è migliorata, tutti si stanno adattando. Questo paese non smetterà mai di crescere, nonostante tutto quello che sta succedendo”. È un punto di vista che colpisce.

Il barman ottimista.

La mia sensazione è che questi ragazzi non siano del tutto consapevoli della reale situazione del Libano, e che per questo ci credano tanto. Rivolgendosi ad altri, magari a persone attente alle dinamiche internazionali, le risposte sono completamente diverse: la possibilità che il paese, con una nuova guerra, possa smettere di esistere è concreta e, purtroppo, non improbabile. Ma per questi giovani questa è la loro quotidianità, e per loro è la normalità: la resilienza è una dote che i libanesi sono stati costretti ad imparare, e se la tengono stretta.

Quali aggiornamenti ci puoi dare su WIP?

Anche in questo caso ho trovato stravolte le mie aspettative; temevo di trovarmi di fronte ad attività naufragate, a persone abbattute, e invece tutti procedono continuando ad impegnarsi e a sperare, tanto nel futuro del Libano quanto in quello delle loro start up. Alcuni progetti si sono bloccati, a causa però di motivi pratici, come il costo troppo elevato dei macchinari necessari a liofilizzare la frutta che avrebbe impedito all’attività Brisky di andare in attivo; gli altri procedono, con la prospettiva di crescere e allargarsi sempre più.

Raccontaci di alcuni ragazzi che hai incontrato!

Siamo andati a fare visita alla Bakery di George e abbiamo trovato un posto ancora fatiscente ma pronto per essere sistemato: speriamo di aver trovato il finanziamento con cui George potrà mettere in sicurezza la sua bellissima terrazza per poter ospitare i clienti, in modo da non doversi più limitare al delivery per vendere i suoi prodotti. Potrà così aumentare i propri introiti mensili, che al momento ammontano a circa cento dollari al mese, e assicurare una vita più serena a se stesso e al suo anziano padre.

Siamo poi stati nell’agriturismo Agro Paola, dove Paola coltiva alberi e piante per produrre marmellate e prodotti artigianali di qualità da spedire e vendere alle fiere; per aumentare le sue prospettive di reddito stiamo pensando di investire nella ristrutturazione della casa adiacente al giardino per trasformarla in un piccolo bed and breakfast.

Il progetto Agonista, creato da Wassim come ristorante in cui assumere ragazzi che soffrono di disabilità, ha in programma di espandersi in una nuova forma: due dei dipendenti, George e Farah, vorrebbero aprire un bar dove non saranno più dipendenti, ma soci. È stato commovente assistere alla telefonata con cui George ha annunciato la notizia alla sua famiglia: mi sono resa conto di quanto davvero stiamo facendo del bene, di come stiamo realmente cambiando la vita di chi lavora con noi. George, in quel momento, era un ragazzo felice.

Anche Jimmy sta avendo un grandissimo successo con il suo sistema di generatori di corrente a noleggio, tanto che ha ricevuto un’offerta di acquisto della società o di una parte di quote, e stiamo valutando insieme la proposta. Questo è un altro aspetto molto bello del progetto WIP: offriamo, oltre ai finanziamenti e al supporto dei tutor, una mentorship costante che fa sentire sicuri i ragazzi e li tutela, sul piano economico come su quello psicologico. Non sono mai soli, hanno le spalle coperte e lo sanno.

Ha senso investire in Libano e progettare lì un futuro?

Per quanto ho potuto vedere e ascoltare dalla gente intervistata nei bar e dai ragazzi di WIP, non c’è affatto la percezione di un clima apocalittico, di un paese privo di futuro e di speranza; i libanesi sono volenterosi e pronti ad impegnarsi, certi di superare anche questa. Sì, è giusto crederci ed è giusto investire su di loro e credere in loro, perché loro per primi continuano a credere in se stessi e nelle proprie possibilità. È un popolo fiducioso che va avanti nonostante tutto, nonostante le immense difficoltà e la paura che non passa mai, e credo che questo vada premiato: il Libano merita un supporto, morale e concreto, per avere una possibilità di farcela davvero.

George di Abou Gerge Bakery e suo padre insieme a Paolo Fumagalli.
Paola di Agro Paola e Guendalina.
Guendalina Sassoli e Paolo Fumagalli con i ragazzi di Agonista, tra cui Farah (quarta da sinistra), George (a destra di Farah) e Wassim (ultimo da sinistra).