Gaza

La crisi di Gaza

Giovanni Caccialanza9 Agosto 2022

Padre Gabriel Romanelli, della famiglia religiosa del Verbo Incarnato, è l’unico parroco cattolico in tutta la Striscia di Gaza. La sua parrocchia, dedicata alla Sacra Famiglia, si trova a Gaza City, e conta 134 anime, stando agli ultimi dati disponibili. Una comunità piccola ma vitale, che padre Gabriel guida con passione, la stessa che vibra, quando lo sentiamo al telefono, nel racconto dei fatti degli ultimi giorni presso Gaza. Ma padre Gabriel non si scompone troppo, e, pur tradendo l’emozione dovuta ai bombardamenti sulla Striscia, la sua voce resta tranquilla, le sue parole sono ancora chiuse da un “grazie per quello che fate”.

Padre Gabriel, dopo quasi un anno di silenzio, si torna a parlare di Gaza, e si torna a farlo mentre piovono le bombe e scoppia quella che sembra una nuova guerra.

Esatto. Dopo la scorsa guerra del maggio 2021, Gaza aveva vissuto un periodo di relativa pace. Dall’anno scorso, non c’erano quasi più stati incidenti, e nessuno si aspettava un attacco così. Stando a quanto dichiarato dallo Stato di Israele, si è voluto colpire il gruppo della Jihad Islamica Palestinese (PIJ). Ma dietro agli attacchi, le motivazioni possono essere tante, anche molto diverse da quelle ‘ufficiali’: solo il Padre Eterno lo sa. Quello che è sicuro è che sono stati coinvolti i civili, tanti, troppi: si parla di 44 morti e 360 feriti; soprattutto, si parla di quindici bambini morti e di 151 minori feriti, secondo le fonti del Ministero Palestinese della Salute… Davvero, una catastrofe che ha colto tutti di sorpresa: nell’ultimo periodo, sembrava si fosse arrivati a una convivenza più pacifica. Israele aveva rilasciato più di diecimila permessi di lavoro per i Gazawi. Questi potevano finalmente cercare un’occupazione fuori di Gaza, cercare di portare a casa il sostentamento per le proprie famiglie. Il numero di questi permessi – e, in alcuni casi, anche la loro durata – è stato davvero eccezionale. E poi un anno intero senza bombardamenti… Per questa zona, che è sempre una zona di guerra, è un periodo lungo. Si erano create aspettative di serenità, di pace, di calma. E invece eccoci di nuovo qui.

È una circostanza scoraggiante e paurosa. Siete demotivati?

Nient’affatto. Noi non perdiamo la speranza. Anzi, con la tregua abbiamo messo di nuovo mano a buona parte dei nostri progetti. Noi lavoriamo con serenità e con fiducia, anche se non ci facciamo troppe illusioni, e siamo sempre pronti a tornare indietro e a chiudere tutto se il pericolo dovesse acuirsi di nuovo.

A quali progetti ti riferisci?

Già da domani, alle 8.30, l’oratorio della parrocchia, chiuso per motivi di sicurezza cinque giorni fa, sarà di nuovo aperto. Giovedì faremo una gita con le donne di Gaza, venerdì ricominceremo il campo scout che è finito settimana scorsa e doveva ricominciare in questi giorni. Lasciami dire che queste sono davvero occasioni preziose per combattere la frustrazione, la rabbia e la sfiducia che sono sempre presenti nella Striscia. Avere occasione di vedersi, di partecipare a iniziative belle o dotate di valore sociale è un aiuto potentissimo, soprattutto per le donne.

Domenica, poi – se la tregua reggerà, grazie a Dio – torneremo in spiaggia, come facciamo sempre d’estate. Da quando sono parroco, ci tengo che la domenica, dopo la mattina di preghiera, possiamo viverla in spiaggia, insieme alle famiglie. Qui a Gaza è difficile vedere le famiglie intere in spiaggia: le donne, spesso, non possono andare al mare. Allora noi ogni domenica andiamo in spiaggia con tutta la comunità cristiana, tutti insieme, così nessuno può essere preso di mira. Chiediamo il permesso alle autorità, affittiamo un tratto della spiaggia e ci mettiamo lì a giocare, a cantare, a mangiare fino a sera. Credimi, è davvero importante per queste persone. È un momento prezioso.

Siete una comunità molto vitale. Avete altri progetti?

Sì. I nostri progetti, i progetti a cui partecipiamo come Chiesa cattolica sono tantissimi. Il Patriarcato latino di Gerusalemme svolge un ruolo importantissimo nel coordinare e nell’implementare questi progetti; è una cosa che va riconosciuta, è importante. A Gaza la Chiesa cattolica gestisce tre scuole private, una delle quali, quella delle Suore del Rosario di Gerusalemme, è la più grande e la più importante di Gaza. Abbiamo dieci gruppi pastorali, alcuni per i bambini, altri per gli adulti, altri per le donne… A molti di questi partecipano soprattutto gli ortodossi…

Quindi la Chiesa cattolica è attenta anche al dialogo interreligioso.

Assolutamente. Gli ortodossi sono molto più numerosi di noi, più di un migliaio, e li ospitiamo volentieri negli spazi della nostra parrocchia. E poi la Chiesa aiuta le tantissime famiglie musulmane indigenti di Gaza. Sono non meno di 20.000 gli individui assistiti tutti i mesi dalla Caritas. Accanto a questi, ci sono i 66 bambini farfalla, ammalati di una sindrome incurabile, che cerchiamo di confortare con l’aiuto di Pro Terra Sancta.

E tutto questo si è interrotto per i bombardamenti degli scorsi giorni.

Sì, chiamala pure una “guerra”. È una guerra. Quei bombardamenti hanno fatto paura. Grazie a Dio, nella nostra comunità non ci sono stati danni irrimediabili, ma in tanti si sentono angosciati. L’altro giorno una parrocchiana mi ha scritto che in situazioni come questa – che capitano spesso – non si riesce a pensare ad altro che a un luogo sicuro in cui tornare. Mi chiedeva: “Padre, ma la vedremo mai la pace a Gaza?”… Diceva che, guardandosi in giro, si sentiva spaurita: banalmente, l’elettricità, che qui a Gaza arriva solamente otto ore al giorno, in questo momento di crisi è stata ridotta a quattro ore al giorno… Danni nella nostra comunità, appunto, non ce n’è stati, ma la paura si sente, la gente la vive tutta.

Eppure, lo dicevi, voi andate avanti. Sì, non ci perdiamo d’animo. Lo facciamo soprattutto grazie alla preghiera di chi ci sostiene e ci porta nel cuore. Sappiamo di tantissimi missionari, di catene di preghiera che si sono attivate. Questo è per noi fondamentale.

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