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La storia del JACC, il centro che accoglie e accompagna i rifugiati africani a Gerusalemme

Giacomo Pizzi14 Gennaio 2019

Anche in Israele c’è un “emergenza” profughi. Diversa da quella che sta affrontando l’Europa, certo, ma significativa. Le ondate migratorie più consistenti sono iniziate alla fine degli anni novanta e i primi anni del 2000 a causa da un lato dell’indipendenza eritrea e l’inizio del regime dittatoriale e militare di Isaias Afewerki, dall’altro dallo scatenarsi del conflitto del Darfur, regione ad ovest del Sudan e sono cessate dopo una decina di anni. Quasi la totalità dei rifugiati in Israele, infatti, arrivava da Sudan, Eritrea e Etiopia e sono giunti attraverso un lungo e pericoloso viaggio attraverso l’Egitto e il Sinai. Dal 2013, con la costruzione di una barriera a protezione del confine tra Israele e l’Egitto, le migrazioni si sono interrotte drasticamente.

Oggi sono circa 40.000 le persone presenti in Israele provenienti da queste zone di conflitto. Generalmente per coloro che provengono da stati martoriati dalla guerra e da conflitti le procedure di asilo sono più rapide e hanno esito positivo, ma in Israele, in tutti questi anni, solo una decina di persone ha ottenuto il diritto di asilo. La stragrande maggioranza rimane sul suolo israeliano illegalmente, con permessi temporanei. Le attività dell’Associazione JACC (Jerusalem African Community Center) si inseriscono in questo difficilissimo contesto sociale cercando di creare le condizioni necessarie a migliorare la qualità della vita dei rifugiati africani a Gerusalemme. Ad oggi nella Città Santa sono presenti circa 3500 rifugiati e richiedenti asilo e JACC rappresenta l’unica organizzazione nella città attrezzata per poter far fronte ai bisogni della comunità. Data la condizione precaria, la maggior parte dei rifugiati ha limitata possibilità di impiego e molto spesso si tratta di lavori umili e sottopagati, connessi a difficoltà nel trovare un luogo abitativo consono e molto spesso viene loro negato l’accesso ad adeguate cure mediche ed al welfare.

L’ONG è stata fondata nel 2014 sulle radici di un’iniziativa popolare partita nel 2007 da un gruppo di volontari e fin dalla sua nascita, l’associazione ha avuto il supporto e il sostegno dei Frati Francescani. L’allora Custode, Padre Pierbattista Pizzaballa, ha visto nella buona intenzione del progetto la missione francescana di aiutare tutti i cristiani in Terra Santa. Lo scorso anno poi il Custode in carica, padre Francesco Patton ha chiesto a ATS pro Terra Sancta di impegnarsi in questo progetto aiutando JACC, insieme alla Custodia di Terra Santa, nello sviluppo delle loro attività.

Il centro fornisce assistenza legale, medica e occupazionale. È presente un programma di supporto psicologico gestito da studenti di studi sociali supervisionati da un assistente sociale professionista per fornire un sussidio emotivo, psicologico e sociale alle famiglie. In particolare viene dato sostegno alle madri sole e alle donne sopravvissute a violenze sessuali e torture che hanno subito lungo la tratta prima di giungere in Israele.

Un’altra importantissima voce tra le attività del centro è l’aspetto educativo. La direttrice di JACC, Josie Mendelson, crede nel ruolo dell’educazione per migliorare le condizione della comunità all’interno della società israeliana. “Abbiamo attuato un programma di tutoraggio accademico che si svolge nella sede di JACC tre volte a settimana. I ragazzi vengono aiutati nello svolgimento di compiti, nello studio delle lingue e delle altre materie scolastiche. Ai bambini viene anche dato un pasto sostanzioso ed equilibrato ed una merenda. Organizziamo corsi di Inglese, Ebraico, Tigrinya (la lingua madre dell’eritrea), computer per bambini e adulti per favorire la comunicazione tra genitori e figli, sempre difficile in un contesto di migrazione”.

Siamo andati a trovare i ragazzi e volontari di JACC durante le attività dopo scuola pomeridiane e tutti i bambini ci hanno accolto con esuberanza e allegria, desiderosi di mostrarci i loro progressi.

“Siamo molto contenti dei risultati che siamo ottenendo”, ci dicono gli insegnati e i volontari “i ragazzi che partecipano ai nostri corsi sono migliorati a scuola e riescono a comunicare meglio con i loro insegnati e coetanei”. Senait, una bambina etiope di undici anni, con un po’ di timidezza ci confessa: “Mi piace Gerusalemme, ma Adiss Abeba…” Le sue parole danno voce ai sogni di molte persone della comunità che desiderano un giorno di poter tornare nei loro paesi quando sarà tornata la pace e la loro vita non sarà più a rischio.