Sono queste persone soprattutto che compongono la comunità cristiana di Latakia. Associazione pro Terra Sancta offre loro aiuti dal 2014, tramite la distribuzione di cibo e il sostegno economico per pagare gli affitti a circa 350 famiglie; oltre a questo fornisce latte in polvere per 50 bambini e aiuti di vario tipo alle loro madri. Dopo il breve colloquio introduttivo con padre Atef ci dirigiamo verso l’ufficio di ATS pro Terra Sancta che si trova all’interno del complesso del convento francescano. Qui incontriamo Eva, che lavora per l’associazione da quando abbiamo aperto l’ufficio un anno fa e Hinryt, una giovane volontaria di 27 anni. Collabora con noi da quest’estate, quando le è stato chiesto di coordinare le attività dei campi estivi dei ragazzi e bambini della comunità (un’attività educativa importantissima sostenuta dalla fondazione tedesca Missionszentrale der Franziskaner in collaborazione con ATS). “Pensate che molti dei bambini – ci spiega Eva – non avevano mai mangiato del vero formaggio, e per la maggior parte non sapevano giocare tra di loro perché abituati a comportamenti violenti… Sono davvero moltissimi i casi di violenza domestica dovuti alla frustrazione e allo sconforto e i bambini si comportano di conseguenza”. I campi estivi sono quindi stati un’opportunità di vedere un modo di divertirsi diverso, ordinato e bello.
Eva è di origine armena, ma è nata e cresciuta qui, Hinryt invece viene da Knayeh. Anche lei e la sua famiglia sono stati costretti a fuggire la persecuzione di Al-Nusra. “Mio padre aveva un ristorante – racconta – che accoglieva moltissime persone, a dire di molti il migliore di Knayeh. Qui, oltre al buonissimo cibo, serviva vino e Arak [bevanda alcolica a base di anice molto apprezzata in Medio Oriente] di sua produzione. Un giorno si sono presentati alla porta due uomini che ci chiesero una somma impossibile. Mio padre si è rifiutato e siamo stati costretti ad andarcene…”.
Mentre Hinryt racconta, l’impressione avuta appena arrivati la notte prima, pian piano inizia a svanire: la guerra non è per niente finita e anzi ci troviamo proprio di fronte a una delle migliaia di persone che non possono tornare alle proprie case perché nella provincia di Idlib, dove si trova Knayeh, i 30.000 jihadisti che si sono rifugiati qui, la fanno da padrone. E nonostante l’esercito regolare e i suoi alleati abbiano recentemente allentato di poco la pressione intorno alla regione, le strade sono ancora chiuse in attesa di una decisione definitiva che tarda ad arrivare. “E anche se potremo tornare un giorno, non so cosa troveremmo...” dice ancora Hinryt.
La storia di Hinryt è simile a quella di molte altre famiglie che incontriamo a Latakia. Simile a quella di Hania e Yussef che vivono in una casa in condizioni terribili nella convinzione che loro figlio, rapito cinque anni fa dai ribelli a Yacoubieh, tornerà un giorno da loro qui a Latakia. Nessuno ha più il coraggio di ripetergli per l'ennesima volta che loro figlio probabilmente non c’è più perché il riscatto da pagare per la sua liberazione era troppo alto. Nemmeno Maruoa, la loro figlia, che nonostante tutto a novembre si sposerà con Hani: una bellissima notizia, un fiore di speranza, che interrompe per un attimo i racconti delle tragedie che si susseguono davanti a noi. Simile a quella di Fateh, che ci accompagnerà alla nostra prossima tappa: Damasco. Lui parla italiano perché prima della guerra ha svolto numerosi viaggi di lavoro per oleifici italiani. Aveva anche un frantoio, che gli è stato portato via pezzo per pezzo dai ribelli e rimontato chissà dove. Qualche mese fa poi un missile ha distrutto la sua casa.
In mezzo a questo mare di tragedie, ciò che ci colpisce particolarmente è che tutti loro, alla fine di ogni incontro, ringraziano sempre Dio: “Grazie a Dio siamo vivi – ci dicono – e possiamo ancora sperare”. E poi ringraziano noi, per la nostra visita, ringraziano pro Terra Sancta e i francescani per l’aiuto che per molti di loro è davvero vitale. Il nostro non averli dimenticati e il nostro continuo accompagnarli è già una ragione per sperare, per continuare a vivere.











