San giacomo armeni

San Giacomo e gli armeni

Giacomo Pizzi24 Aprile 2018

All’interno delle mura della città vecchia di Gerusalemme, tra la porta di Giaffa e quella del monte Sion, si trova il quartiere armeno, il cui cuore pulsante, nonché l’unico luogo visitabile da turisti e pellegrini è la Basilica di San Giacomo, costruita sulle tombe di san Giacomo Maggiore e san Giacomo, “il fratello del Signore”, come viene chiamato nei Vangeli, primo vescovo della Chiesa di Gerusalemme.

Entrando nella Cattedrale si è immediatamente colpiti dall’interno, rivestito da lampade ad olio che pendono dall’alta cupola a volta, candelabri d’oro, croci d’argento, stoffe e candele di cera, così come dalle bellissime piastrelle in ceramica dipinte in bianco, verde e blu, che adornano le colonne e i lati della chiesa. L’unica sorgente di luce, le lampade ad olio, sono riempite ad intervalli regolari dai chierichetti. I ceri, prodotti da un fabbricante di candele del Patriarcato, danno un aspetto mistico al luogo, favorendo la contemplazione e il raccoglimento in preghiera durante i riti.

All’ingresso sulla sinistra ci sono tre piccole Cappelle. La prima contiene la tomba di Macario, vescovo di Gerusalemme nel IV sec.; la seconda è dedicata a S. Sergio, martire per la fede, e a S. Minas; la terza è il reliquiario dove è sepolta la testa di S. Giacomo Apostolo. Gli Armeni infatti fanno risalire qui il luogo della sepoltura inseguito all’esecuzione del Santo per volere di re Erode Agrippa II, nel 44 d.C circa.

Nel Presbiterio, dietro l’altare, ci sono due troni. Uno ricorda il trono di S. Giacomo, il “Fratello del Signore” e primo vescovo di Gerusalemme, che è seppellito sotto l’altare maggiore. Per tradizione il Patriarca armeno ogni anno alla ricorrenza della festa del santo siede di fronte a questo trono, per simboleggiare il suo posto nella successione dei vescovi di Gerusalemme. L’altro trono è quello normalmente usato dal Patriarca.

Gli Armeni

Particolarità di questo quartiere e del popolo che lo abita, è la sua chiusura rispetto al mondo esterno, non vi è possibile infatti nessun accesso dall’esterno, e il quartiere è costruito in modo da avere tutto il necessario per viverci al suo stesso interno, comprende infatti club giovanili, una scuola che arriva fino alla maturità, una clinica, due librerie, la chiesa, la cattedrale, un campo da calcio, il cimitero e un museo.

Nel 381 d.C., il Concilio Ecumenico di Cosantinopoli elevò la sede di Gerusalemme a eguale riconoscimento di quelle di Roma e Costantinopoli, e di conseguenza gli esponenti di tale sede furono chiamai “Patriarchi”.

La presenza armena in Terra Santa risale ai primi anni della Cristianità, prima ancora della conversione del re armeno Tiriade III, avvenuta nel 301 circa, che per primo adottò il Cristianesimo quale religione di Stato da parte dell’Amenia.

Il luogo di provenienza degli Armeni è il monte Ararat, dove approdò l’Arca di Noè secondo il libro della Genesi. La rilevanza sacra di questo luogo è parificabile a quella del Muro per gli Ebrei e La Mecca per l’Islam.

La lingua armena è molto vicina al sanscrito e, insieme col greco ed il persiano, è alla radice di tutti i linguaggi Indoeuropei, tuttora gli abitanti del quartiere, parlano solo ameno e inglese, difficilmente comunicano in arabo o ebraico, sebbene conoscano bene entrambe le lingue, questo come forma di protezione della propria identità dovuta a secoli di persecuzioni, che hanno spinto importanti flussi migratori di armeni in Terra Santa, da quella in seguito al genocidio armeno in Turchia del 1915 a quella del 1991 in seguito alla caduta dell’Unione Sovietica.

Secondo la tradizione armena, un cristiano praticante dovrebbe recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme almeno una volta nella vita. Nonostante le sempre difficili condizioni politiche ed economiche, che nei secoli si sono susseguite nella Città Santa, migliaia di Armeni sono affluiti in Terra Santa negli anni passati. Pare che il monastero di S. Giacomo nel passato arrivasse ad ospitare fino a ottomila pellegrini alla volta, compresi illustri uomini, reggenti e rappresentati di chiesa e di stato: ognuno di loro volle lasciare traccia del proprio passaggio, tramite ad esempio incisioni nella pietra nonché con l’offerta di doni.

Vi sono ancora gruppi di piccolissime croci armene incise nelle pietre delle chiese e delle porte. La tradizione popolare locale tramanda che queste furono incise dai pellegrini, e che i gruppi rappresentino il numero delle persone della famiglia di ciascun pellegrino. Era motivo di vanto e onore poter avere un membro della famiglia che si fosse recato in pellegrinaggio a Gerusalemme, tanto che tale persona veniva ritenuto Mahdesi, “che ha visto la morte”, in riferimento alla tomba di Cristo.

Durante la seconda metà del VII sec., si poteva contare la presenza di più di settanta monasteri armeni in tutta la Terra Santa. L’attuale Quartiere Armeno di Gerusalemme, si erge intorno ad alcuni di questi antichi monasteri, in particolare sono ancora presenti il Monastero di S. Giacomo, il Monastero dei Santi Arcangeli e il Monastero del Santo Salvatore.