Padre Luke

Storie dal campo profughi di Rodi. L’intervista a Padre Luke.

Veronica Brocca25 Novembre 2022

Nell’isola greca di Rodi, alcune tra le famiglie più povere di migranti approdano dopo una lunga traversata da Afghanistan, Siria e Iraq in particolare. Padre Luke Gregory accoglie e aiuta centinaia di famiglie offrendo loro un riparo, cibo, acqua, vestiti e preziose parole di conforto. La luce di Natale che si diffonde da Betlemme raggiunge anche i campi profughi presenti in Grecia, nonostante le dolorose storie che ci giungono da quei luoghi.

Padre Luke con due fratelli di Gaza, Rodi 2022

Pare Luke Gregory ci racconta alcune storie dal campo di Rodi e Kos e la luce di speranza che vive anche nell’oscurità. 

Padre Luke, Lei negli anni ha accolto nella sua parrocchia di Rodi e offerto preziosi aiuti ai tanti profughi che sbarcano sull’isola in attesa di costruirsi una vita in Europa. Ci può raccontare alcune storie che più le sono rimaste impresse?

Tra quelle che mi hanno più colpito vede protagonista un bambino di quattro anni.  Un giorno stava camminando sulla strada con il padre, la madre e la sorella per uscire dalla Siria. Durante il cammino sono sopraggiunti degli areoplani da guerra che hanno fatto cadere delle bombe. La mamma e la sorella sono morte sul colpo. Lui e il papà sono sopravvissuti. Sono riusciti ad arrivare a Rodi e quando li ho accolti il bambino mi ha raccontato quanto successo alla sua famiglia con i gesti.

Non so quanto avesse capito, ma mi faceva i segni dell’arrivo degli aerei, delle bombe cadute dal cielo e infine si è disteso sul pavimento per indicarmi la mamma morta. Questo mi è rimasto fisso nella mente per diverso tempo. Un bimbo così piccolo che ha visto sua madre morire sotto i suoi occhi. Dopo un anno a Rodi, lui e il papà hanno finalmente raggiunto Atene e da lì penso siano andati in Belgio.

Ci sono tanti minori che sbarcano sull’isola greca?

Sì, molti purtroppo. Per esempio, un giorno mi ha chiamato il sindaco dicendomi che erano arrivati 250 rifugiati su gommoni. Erano stati sistemati all’interno di un palazzetto dello sport. Appena ho saputo dove stessero ho portato, come faccio sempre, cioccolato e biscotti per i più piccoli. Mentre ero lì ho visto un giovane ragazzo seduto fuori all’aperto; avrà avuto 14 anni. Gli ho chiesto come mai stesse fuori da solo. «Mio padre mi ha lasciato qui per andare in Europa e adesso non so cosa posso fare» mi ha risposto. Di lui si è preso cura un’agenzia caritatevole che si occupa dei minori senza famiglia, ma la percezione che fosse senza famiglia, senza nessuno a questa età, mi ha spezzato il cuore.  

Recentemente le autorità a Rodi hanno chiuso un campo non gestito dal governo. Tutti i profughi all’interno sono stati radunati e portati a Kos e da Kos ad Atene. Ma molte di queste persone, una volta arrivati ad Atene, sono tornati a Rodi e si sono presentati al convento. Le condizioni al campo di Atene sono pessime. Ne ho parlato con il Custode di Terra Santa e li ho sistemati nella Foresteria del convento. L’alternativa è la strada. L’ultimo profugo è andato via ad agosto. Era un musulmano con i documenti. So che ha cominciato una nuova vita in Belgio.  

Con alcuni rifugiati da Gaza e Siria
Il Custode di Terra Santa, fra Patton, benedice la chiesa di Kos

Pochi giorni dopo mi ha telefonato padre Louay, il parroco di Knayeh, il villaggio siriano dove governano ancora i ribelli di Al-Nusra: mi dice che a Rodi è arrivato un giovane della loro parrocchia. Mi chiede di andare a vedere se ha bisogno di aiuto. L’ho trovato e ora sta anche lui nel convento della foresteria.

Ora la mia speranza è che io in un modo o nell’altro possa farlo arrivare ad Atene, perché da lì è più facile andare altrove. Ma lui non vuole andare nel campo. È vero che se va nel campo rifugiati prima o poi gli daranno questo documento che gli garantisce l’asilo politico, però prima devi starci dai quattro ai sei mesi e tra di loro si inviano le fotografie con le condizioni di questo campo di Kos. Al momento ci sono tra i quattro e i sei mila rifugiati. È una città-prigione. A me non lasciano entrare. Lascio il cibo per i ragazzi fuori, perché non vogliono che veda le condizioni del campo.

Padre Luke con il ragazzo dalla parrocchia di Knayeh

Padre Luke, il Natale è alle porte e la nascita di Gesù a Betlemme porta con sé la speranza. La nostra campagna di Natale si chiama “Da Betlemme brilla una luce che non ha prezzo”. C’è luce e speranza tra la gente che aiuti?

Adesso ti invio una fotografia che ho scattato un anno fa al campo a Kos. Era notte. In tutto questo buio si vedono solo delle luci. Ogni volta che vado al grande campo profughi di Kos, che non è un bel posto, e vedo questo spettacolo di luci, penso questo: “Malgrado tutto il buio che c’è in questo campo, almeno c’è la luce che mi dà la speranza. La speranza che questa luce illuminerà anche la vita di questa povera gente. La speranza è che la luce possa toccare il cuore di tutti, specialmente nel tempo di Natale”. Quando guardo questa fotografia penso anche questo: “Malgrado tutto il buio nel mondo, la luce di Gesù non si può estinguere”.

Ecco quello che ho sentito dentro di me. Veramente era tutto buio, ma il campo profughi era pieno di luci. Gesù può dare luce. Anche per la coscienza dei rifugiati e dei trafficanti.

Luci al campo di Kos