“Che situazione particolare”. Testimonianza di Vittorio volontario a Gerusalemme

Giacomo Pizzi3 Aprile 2020

Scrivo da un luogo decisamente particolare, privilegiato. Un’ampia terrazza, direi… bianca. Un rettangolo delimitato da massicci muri di pietra, alti un metro e mezzo circa.

Senza nemmeno sforzarsi troppo, gli occhi cadono a ritmo, procedendo in senso orario, sulla “chiesa francescana del Salvatore dallo snello campanile con la punta di colore nero, che è il campanile più alto dell’intera città” (Fürst, Geiger). Si soffermano, colmi di meraviglia, sulla Cupola della Roccia, in arabo Qubbat as-Sakhra. Semisfera dorata che pare concentrare a sé il numero più alto possibile di raggi solari. Sia la giornata tersa, calda, primaverile sia essa nuvolosa, fredda, autunnale. Gli occhi già più allenati scorgono la chiesa protestante del Salvatore con il campanile quadrangolare e la sinagoga Hurva. Lo sfondo è quello del Monte degli Ulivi. Nelle giornate più limpide e più fortunate si può intravedere la Giordania.

Ho lasciato per ultimo il Santo Sepolcro. Permettetemi di dire che anche oggi, nel mezzo di questa tempesta, di questa pandemia, resta il cuore del mondo.

Senza eccedere con la retorica, credo che i giovani frequentatori dell’ampia terrazza bianca, ritrovatisi a Gerusalemme durante una pandemia globale, siano consapevoli di dover ricostruire. Così come la basilica del Santo Sepolcro si è sempre rialzata, grazie all’intervento dei fedeli che, instancabili, la venerano da tempi immemori, allo stesso modo dobbiamo utilizzare questo periodo di pausa e riflessione forzata per creare, organizzare e ricostruire.

Annalisa, Azzurra, Daniela, Fabio, Pierfilippo ed io siamo arrivati in Terra Santa il 3 febbraio 2020 grazie al Servizio Civile Universale, programma promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e realizzato grazie alla collaborazione tra l’Università di Bari Aldo Moro e l’Associazione Pro Terra Sancta.

La cooperante, l’architetto, l’archeologa, lo storico dell’arte, il filologo e il legale. Iniziamo ad inserirci nella complessa realtà della Terra Santa sia da un punto di vista professionale che personale.

Senza dilungarsi, in data 17 marzo 2020 si passa da uffici, musei e biblioteche al c.d. “lockdown”. Gli spostamenti diventano limitati. Fino al giorno prima era possibile mettersi un paio di scarpe da ginnastica e lasciare il ritmo frenetico della città per abbandonarsi innanzi al tramonto dalla chiesa del Dominus Flevit. Improvvisamente è possibile uscire di casa esclusivamente per motivi di lavoro necessari, di salute e per l’acquisto di cibo.

I pensieri rivolti all’Italia, agli affetti, ma inizia la riorganizzazione di quello che sarà il nostro mondo sino a data da destinarsi.

Alla sveglia seguono una rassegna stampa e un caffè forte.

Si lavora da remoto appunto per creare, organizzare e ricostruire, ma soprattutto per gestire l’emergenza sanitaria su un territorio tanto bello, quanto fragile. Strutture sanitarie, progetti di imprenditoria sociale, cantieri, preghiere non possono e non devono fermarsi. Sarebbe una resa inconcepibile che non possiamo permetterci.

La sera ci si allena un po’, magari su quella terrazza che è àncora di salvezza.

L’unica occasione per uscire è, indossando guanti e mascherina, fare una rapida spesa a pochi metri dall’uscio in piena Via Dolorosa. I pellegrini sono stati sostituiti da commercianti sconsolati. Dal vociare tipico della Città Vecchia si passa al miagolio dei gatti. Da folla a deserto. “Che situazione particolare” direbbe un amico.

Segue la cena in compagnia. Ognuno porta sulla tavola la sua regione, dalle Alpi all’Aspromonte. I messaggi di Giuseppe Conte, le preghiere del Papa, irrompono un po’ per tenerci con i piedi per terra un po’ per tener viva la speranza.

Sul tardi (siamo un’ora avanti rispetto all’Italia) si fa qualche telefonata a casa, si legge un libro o si guarda un film. Tutto all’interno di quelle camere che per abbondanza di tempo a disposizione e volontà di renderle belle, sono diventate ancor più accoglienti.

Al Maria Bambina, la struttura della Custodia di Terra Santa gestita dalle Suore di Carità, dunque qualcuno è rimasto, nonostante tutto. Ognuno con la sua storia, ma partecipe di questo mondo parallelo.