Storia di un parroco ad Aleppo: intervista a padre Bahjat Karakach

Lucia Borgato11 Agosto 2023

“Pensa che oggi in Siria, uno stipendio medio equivale a 10$ al mese. C’è veramente una povertà estrema che tocca tutti i livelli della vita pratica, dal mangiare, all’assistenza medica e all’istruzione.” 

Con queste parole padre Bahjat Karakach racconta le difficoltà di chi vive in oggi Siria. 

Nato e cresciuto ad Aleppo, padre Bahjat ha studiato e vissuto diversi anni in Italia. Nell’ottobre del 2022 rientra nella sua città natale, dove oggi è parroco della comunità Latina locale.

Quotidianamente deve affrontare le difficoltà dettate dalla situazione politica ed economica siriana. Aleppo è una delle città più colpite dalla guerra, a cui si sommano i danni causati dal terremoto dello scorso febbraio. Oggi chi non è morto a causa della guerra o del terremoto è migrato altrove. Ma chi è rimasto che sfide deve affrontare? C’è speranza anche dentro questo male?  Lo abbiamo chiesto proprio a padre Bahjat che, in visita in Italia, ha testimoniato che il bene germoglia sempre, anche nelle situazioni più cupe.

Padre Bahjat raccontaci della tua missione ad Aleppo, quali sono le sfide che affronti ogni giorno?

Questa è una domanda molto difficile, faccio un po’ di tutto. La mia missione non si limita ad un semplice servizio tradizionale alla parrocchia. Con gli altri frati abbiamo ampliato le nostre attività per rispondere alle urgenti esigenze della popolazione. Abbiamo creato una macchina di progetti di assistenza economica e umanitaria a tutti i livelli. Per esempio, in collaborazione con Pro Terra Sancta, offriamo assistenza psicologica ai bambini colpiti dalla guerra. Poi abbiamo creato un centro sportivo che è diventato un luogo di incontro per le famiglie e ragazzi. Inoltre, sempre con l’aiuto di Pro Terra Sancta, abbiamo potuto realizzare una mensa che riesce sfamare ogni giorno quasi 1200 persone. 

Abbiamo anche progetti educativi ad Aleppo Est come attività di psicoterapia per i bambini orfani, figli di ex combattenti e bambini abbandonati. Attraverso l’arte e lo sport cerchiamo di offrire loro sollievo e collaboriamo con i migliori professionisti, o almeno con quelli che sono rimasti. 

C’è speranza per il futuro? C’è qualcosa che nonostante il male riesce ancora a stupire?

Dopo lunghi anni di guerra, ancora oggi non c’è una prospettiva di soluzione. Avere speranza è una sfida che affrontiamo con fatica ogni giorno, e soprattutto per noi religiosi, che siamo un po’ dei punti di riferimento per la gente del luogo, non è sempre facile guardare al futuro.

Tuttavia, quello che mi colpisce in positivo è vedere che, nonostante tutto il male da cui siamo circondati, ci siano delle persone che si mettono in gioco per cambiare e migliorare la situazione. È bello vedere che non sono solo ad affrontare tutto questo, trovo sempre attorno a me uomini e donne che donano anima e corpo per fare del bene. Forse la bontà, la voglia di fare della gente di Aleppo sono le uniche risorse che ci sono rimaste.

Come è cambiata la Siria in questi anni?

La guerra ha segnato profondamente la Siria, causando un cambiamento radicale nel tessuto sociale. Io dico sempre che sono tornato in un paese irriconoscibile da tutti i punti di vista. La famiglia, che era il pilastro della società, ora ha subito grandi cambiamenti. Molte famiglie sono sparse in giro per il mondo, di conseguenza, il conforto che prima una persona trovava nei propri cari ora non c’è più, o se c’è è debole. Anche avere degli amici è diventato un lusso. La gente per mantenersi ai minimi livelli deve fare tre lavori al giorno, chi ha più tempo per coltivare le amicizie?

Il recente terremoto ha ulteriormente aggravato la situazione. In italiano si dice «Non c’è limite al peggio». Nessuno avrebbe immaginato che si potesse vivere qualcosa di peggio della guerra. La sicurezza primaria dell’avere una casa è svanita sotto le macerie. L’insicurezza abitativa si somma alle sfide economiche e il rischio di non avere più una casa rappresenta una nuova minaccia per molte famiglie.

Come la guerra ha cambiato il rapporto tra cristiani a musulmani?

Non possiamo generalizzare. Si può parlare di due tendenze, una diffidente che si è acuita con la guerra e un’altra invece, che io definirei come il bene che germoglia dal male. La guerra ha alimentato la diffidenza, ma allo stesso tempo la rimescolanza della popolazione è stata un’occasione di dialogo e di incontro che ha prodotto una nuova scoperta da entrambe le parti. Il bene riesce a germogliare anche nel male più assoluto. Si tratta di storie piccole, però è bello dare voce al bello che nasce, anche in questo male.

Gli ultimi sviluppi politici nella regione potrebbero portare a qualche cambiamento in Siria?

Non c’è stato alcun segno di cambiamento positivo, quindi non sappiamo prevedere con certezza che piano concreto ci sia dietro. È brutto da dire, ma la povera gente qui è talmente sfiduciata che non ripone nessuna speranza negli accordi politici, cerca solo di sopravvivere.