Un anno dopo la caduta di Assad, la Siria e Damasco affrontano gravi sfide politiche ed economiche
Damasco senza regime
Un anno dopo la caduta di Bashar al-Assad, la Siria resta intrappolata in una fase di profonda instabilità politica, economica e sociale. Tra il 7 e il 9 dicembre 2024, il regime che per oltre quarant’anni aveva governato il Paese attraverso la famiglia al-Assad è crollato, ponendo formalmente fine a una delle dittature più longeve del Medio Oriente. Tuttavia, la fine del regime non ha coinciso con l’inizio di una vera transizione. La violenza non solo non è diminuita, ma ha assunto nuove forme, colpendo in modo particolare le comunità più vulnerabili. Il 26 dicembre 2025 un attentato alla moschea dell'Imam Ali ibn Abi Talib nel quartiere alawita di Homs ha ucciso 8 persone e ne ha ferito 18. L’attacco, rivendicato dal gruppo estremista sunnita Saraya Ansar al-Sunna, si inserisce in una più ampia ondata di violenze a carattere settario. Come ci aveva già raccontato l’analista Lorenzo Trombetta, «in Siria i diritti sono legati a una gerarchia etnica più che religiosa», una frattura che affonda nelle basi dell’identità nazionale e che, se non affrontata, continuerà a condizionare il futuro politico del Paese.

Alawiti e Sunniti, le ragioni dell’odio
Storicamente, la principale frattura all’interno dell’Islam è quella tra sunniti e sciiti, nata dopo la morte del Profeta Muhammad in relazione alla successione alla guida della comunità musulmana. I sunniti ritengono che il Profeta non abbia designato un successore specifico, mentre gli sciiti sostengono che la leadership legittima dovesse restare all’interno della sua famiglia. Gli alawiti, presenti soprattutto in Siria, sono spesso associati al mondo sciita, ma occupano una posizione teologicamente marginale, tanto che nel corso della storia sono stati rifiutati come musulmani da parte sia sunnita sia sciita. Alcune loro pratiche, come la non osservanza delle cinque preghiere quotidiane e la permissività verso l’alcol, hanno alimentato questa esclusione. Nel discorso religioso sunnita, testi giuridici medievali sono stati talvolta utilizzati per giustificare l’ostilità verso gli alawiti, e ancora oggi gruppi estremisti richiamano tali interpretazioni per legittimare la violenza. Tuttavia, spiegare le violenze attuali solo come il prodotto di un odio religioso antico sarebbe riduttivo. Durante il regime di Assad, l’appartenenza alawita del presidente ha sovrapposto l’identità di un’intera comunità a un sistema di potere repressivo, nonostante la maggioranza degli alawiti non facesse parte dell’élite politica o militare. Dopo la caduta del regime, questa confusione tra responsabilità collettiva e identità religiosa ha favorito vendette, epurazioni arbitrarie e violenze indiscriminate.
L’Economia in Siria e a Damasco
La Siria e Damasco stanno affrontando sfide economiche devastanti, segnate da anni di guerra civile che hanno distrutto infrastrutture, provocato iperinflazione e svalutazione della lira siriana, con un PIL crollato dell'83% rispetto al 2010. A Damasco, la capitale, persistono carenze di beni essenziali, interruzioni energetiche e disoccupazione galoppante, aggravate da povertà diffusa che colpisce la maggioranza della popolazione. Come osserva Lorenzo Trombetta, «la ripresa economica della Siria dipende sempre più da finanziamenti esterni, con il rischio di diventare un nuovo Libano», dove l’aiuto economico si traduce in influenza politica. Per questo motivo gli interventi umanitari persistono come una delle principali risorse per il risollevamento di una popolazione provata delle violenze e dai conflitti.
I nostri interventi umanitari
In Siria il nostro intervento umanitario si declina in diversi ambiti, a partire dalla risposta ai bisogni primari. Con il progetto “Cinque Pani e Pesci” garantiamo ogni giorno 1.200 pasti caldi preparati nella nostra mensa e 600 kg di pane prodotti nel forno solidale e distribuiti sei giorni alla settimana. Raggiungiamo anche chi non è in grado di muoversi autonomamente, come anziani soli, persone malate o con disabilità, attraverso consegne a domicilio, e sosteniamo orfanotrofi e case di riposo fornendo oltre 50 pasti al giorno. Accanto all’emergenza alimentare, l’educazione resta un pilastro fondamentale del nostro intervento. Nei tre centri educativi di Karm Dodoa, Shaar e Myasser, accogliamo ogni giorno oltre 2.700 bambini e ragazzi, offrendo loro uno spazio sicuro, protezione e la possibilità di tornare a studiare. Inoltre, a Damasco il Social and Emergency Center sostiene le famiglie più vulnerabili con voucher per beni essenziali, assistenza sanitaria e supporto sociale. In un contesto di grave crisi economica e insicurezza, il Centro è un punto di riferimento per molte persone, come Mayada, rimasta sola con due figlie dopo la morte del marito: «Il supporto ricevuto mi ha fatto sentire che non eravamo dimenticate». Attraverso questi interventi continuiamo a offrire dignità, protezione e speranza.











