Community Living Museum

Il progetto “Community Living Museum for Palestinian Youth”

Giacomo Pizzi30 Giugno 2023

Sara Cibin, storica dell’arte ed esperta museologa, coordina la sezione educational del Terra Sancta Museum. A lei abbiamo chiesto di raccontarci di questa costola nata all’interno di uno dei progetti più importanti di Gerusalemme.

Sara, raccontaci di questo nuovo progetto: che cos’è, da dove nasce e perché?

Il progetto ha come titolo ufficiale Community Living Museum for Palestinian Youth (Museo vivo di comunità per i giovani palestinesi). Nasce come progetto finanziato dalla Comunità Europea nel programma istituzionale dall’esperienza fatta negli anni precedenti al Terra Sancta Museum in collaborazione con il Mosaic Center di Gerico che ci ha affiancato in una serie di piccoli progetti per le scuole locali. Con loro inizialmente abbiamo organizzato solo dei semplici tour nella città vecchia tematici, che comprendevano il museo nelle sue fasi proprio iniziali di sviluppo. Pian piano il museo è cresciuto e quindi anche questa esperienza. 

E’ un progetto della durata di tre anni e mezzo iniziato nel 2020, anno non particolarmente propizio, però avevamo anche tantissimo lavoro di preparazione da fare, e i primi mesi del progetto sono in realtà stati utilizzati per creare lo staff che non esisteva e costituire un gruppo di lavoro che avesse le competenze necessarie. Inoltre abbiamo avuto il tempo necessario per impostare al meglio tutto il lavoro delle attività al museo.

terra sancta museum educational
Community Living Museum

Perché questa attività è così importante?

Perché i ragazzi che vivono a Gerusalemme Est hanno una situazione scolastica e molto spesso familiare piuttosto povera. Non hanno grandi opportunità poiché non gli vengono offerte né dal sistema scolastico né dalle altre situazioni che possono avere in famiglia o fuori. Per questo ci sembrava assolutamente necessario che il museo presentasse a questi ragazzi un’occasione di svago, ma anche di crescita culturale.

Quali sono le attività del progetto e a chi si riferiscono?

Le attività sono diverse a seconda delle età in cui vengono suddivisi bambini e ragazzi: alcune sono indirizzate a bambini dai 5 agli 8 anni e attività che invece vengono indirizzate a ragazzini già un po’ più grandi 9 agli 11 o 12 anni. Poi ci sono proprio delle attività che abbiamo pensato per ragazzi grandi delle superiori e abbiamo anche fatto delle attività insieme ai ragazzi universitari. Ultimamente siamo arrivati a coinvolgere anche le madri in alcune delle attività proposte. 

Tutte le nostre attività si svolgono in arabo, ma abbiamo fatto anche alcuni esperimenti interessanti con successo, facendo delle attività in inglese per bambini arabi. Dato che studiano l’inglese a scuola abbiamo creato l’occasione per i bambini di poter utilizzare una lingua straniera.

Le attività sono di diverso grado in base all’età, alcune prevedono un’interazione molto semplice come il disegno e la conoscenza dello spazio; sono attività di interazione del bambino con il suo contesto che può essere tramite dei disegni oppure tramite delle attività fisiche di diverso genere. Aiutano i bambini a sentirsi a casa all’interno del museo, cioè li introducono allo spazio in modo che non se ne sentano estranei. Aiuta tantissimo tutto il processo di conoscenza che nasce da un momento di familiarità.

Abbiamo poi creato delle Archeological Boxes (scatole archeologiche) prodotte da una scuola di falegnameria di Gerusalemme Est, che contengono della sabbia o diversi materiali di terra, ma comunque principalmente del tipi di sabbia all’interno dei quali sono stati collocati dei reperti archeologici – ovviamente si tratta di copie o di oggetti simbolici che fungono da reperti archeologici – e tramite queste scatole noi facciamo sperimentare ai bambini l’archeologia. Il museo presenta oggetti archeologici e quindi in questo modo gli apriamo una finestra sul mondo dell’Archeologia e questo di nuovo fare e quindi di trovarsi in una situazione in cui loro si sentono coinvolti. Questo fa sì che nasca anche la curiosità nei confronti dell’archeologia e degli oggetti che stanno dietro le vetrine. Inoltre, in questo modo riescono a capire come sono stati trovati. 

Un altro aspetto importantissimo delle attività è la collaborazione con altri musei di Gerusalemme Est, come il museo della moschea di Al Aqsa o il museo della cultura palestinese. Abbiamo degli oggetti molto simili. Ad esempio abbiamo individuato dei motivi iconografici comuni sui reperti dei vari musei e poi abbiamo svolto delle attività in cui si riutilizzavano questi motivi in un laboratorio di stampa creativa dove siamo andati a produrre proprio dei timbri che si usano con inchiostro per tessuti per abbigliamento o tessuti che vengono portati dai partecipanti per fare delle attività di riciclo, oppure ancora, abbiamo creato dei motivi su carta da ritagliare per creare delle decorazioni e altri elementi di questo tipo. 

Anche gli adulti hanno partecipato alle attività di stampa su tessuto. A maggio per esempio abbiamo coinvolto alcune signore, madri di famiglia, che raramente hanno occasioni di svago o relax dalla vita familiare, ma anche di scoperta di qualche aspetto storico e creativo del museo, che caratterizza questo progetto.

Community Living Museum
Community Living Museum

Il progetto ha la caratteristica il creare luoghi di incontro e cultura, creare ponti attraverso la scoperta di un patrimonio comune. Che impatto ha sulla comunità locale?

Sicuramente c’è un aspetto di incontro molto significativo ed è dato dal fatto che il museo appartiene a un ente religioso cristiano cattolico in un contesto dove il 90% se non di più della popolazione invece è musulmana. Certamente la differenza, cioè le differenze, esistono anche se il tessuto sociale palestinese è abbastanza coeso, però è vero che esiste una sorta di indifferenza passiva nei rapporti tra una cultura e l’altra; quindi il tentativo nostro è proprio quello di scardinare questo tipo di passività. Da qui l’idea di collaborare con il museo di Al Aqsa, per esempio, per trovare punti in comune tra un’entità cristiana, il nostro museo, e una realtà musulmana. Ed effettivamente abbiamo ritrovato degli oggetti in comune, delle decorazioni, alcune iconografie etc. Ma la cosa che veramente ci interessava era far emergere innanzitutto che esiste un interesse reciproco a conoscersi e a scambiarsi appunto questi aspetti di rapporto di conoscenza reciproca. I punti in comune esistono, però bisogna cercarli e metterli in luce ecco. Il valore primario quindi è proprio l’apertura a questa ricerca di punti in comune.

C’è un episodio particolare dove hai visto questa possibilità?

All’inizio invitavamo varie scuole a visitare il museo e una tra le prime scuole che eravamo riusciti a coinvolgere è stata una scuola musulmana del Monte degli Ulivi che aveva portato delle classi in visita. Qualche giorno dopo la visita di una di queste classi, ci siamo trovati delle ragazzine di circa quattordici o quindici anni davanti all’ingresso del museo che chiedevano di visitarlo. La ragazza dell’accoglienza era un po’ sorpresa inizialmente, perché una cosa del genere non era mai capitata ed era anche un attimo in difficoltà di fronte a questa scena. Non riusciva a crederci e inizialmente pensava ad uno scherzo. Ma una di queste ha spiegato subito: “ho portato le mie amiche a vedere il museo perché non sono della mia stessa scuola e non sono venute con me l’altra volta, ma io voglio che lo vedano perché è bellissimo”. Questo è per me è stato veramente un segno importante perché non mi sarei mai immaginata che una ragazzina della città vecchia musulmana rimanesse tanto colpita da quel museo da volerci portare le sue amiche in un momento in cui erano in giro per i fatti loro. Questo fatto ci ha molto incoraggiato, perché per la prima volta in un luogo dove solitamente transitano solo pellegrini [il Convento della Flagellazione di Gesù n.d.r] sono venute delle ragazzine musulmane che hanno scelto di dedicare il loro tempo alla visita di un museo. Hanno scelto di passare il loro tempo libero a fare qualcosa che non avrebbero mai fatto e che nessuno dei loro coetanei fa.