betlemme-servizio-civile

Torniamo a casa con Betlemme nel cuore: parlano i ragazzi del Servizio Civile

Giacomo Pizzi2 Gennaio 2019

Per tutti i volontari, lavoratori e cooperanti italiani che vivono a Betlemme, Natale vuol anche dire “tombolata”. Come da tradizione nei locali dell’ Hotel Casanova, dopo la S. Messa e un momento di riflessione, ci si ritrova per una cena, rigorosamente di cucina italiana, e subito dopo ad uno dei momenti più attesi da grandi e bambini: il gioco della tombola! Suor Laura pesca il primo numero e si inizia: tra gli “ambo!” e “quaterna!”, a volte vola anche qualche fagiolo, ridendo e giocando tutti insieme come in una grande famiglia. Un modo allegro per ritrovarsi tutti insieme, scambiarsi gli auguri di Natale e salutare i nuovi arrivati e chi invece ha concluso la sua avventura e si prepara a tornare a casa, come Filippo, Anastasia Giulia e Fabio. Infatti, stanno concludendo la loro avventura cominciata ormai un anno fa, dalla presentazione alla domanda del bando di servizio civile “Ad un passo da Terra2” emanato da Consorzio Icaro e ATS pro Terra Sancta. Vincenzo, responsabile di ATS Betlemme, ci racconta come è nata questa collaborazione: “Consorzio Icaro è una realtà associativa foggiana attenta al sociale che ho conosciuto direttamente sul campo a Betlemme e con cui è nata l’idea di collaborare per un progetto di servizio civile con missione socio-educativa e culturale”. Sono arrivati quattro ragazzi con formazione ed esperienze molto diverse tra loro, che hanno messo le loro capacità a servizio della comunità betlemita e non solo.

Anastasia aveva avuto modo di studiare la situazione palestinese nel suo percorso universitario in risoluzione dei conflitti, ma vivere a Betlemme le ha permesso anche di toccare con mano ciò che aveva studiato sui libri: “É stata un’esperienza profonda, di riscoperta di sé perché mi sono dovuta mettere in gioco, entrando a contatto con realtà lavorative e sociali con cui prima non avevo mai avuto a che fare”. Anastasia ha prestato il suo servizio presso diverse opere caritatevoli presenti a Betlemme con cui ATS pro Terra Sancta collabora attivamente, prendendosi cura degli ultimi, molto spesso lasciati ai margini della società: disabili, bambini sordomuti dell’Istituto “Effetà Paolo VI”, adulti psichiatrici presso “House of Peace” delle Suore di Madre Teresa e gli anziani della Società Antoniana. “Ciò che più mi ha colpito, è stato rendermi conto di come gli essere umani riescano a vivere e sopravvivere in contesti di grande difficoltà, e nonostante tutto riuscire in modo più positivo possibile a condurre una vita normale”.

Per Filippo, invece, non era la prima volta in Terra Santa, era già stato qui con il programma MECP Middle East Community Program alcuni anni fa e per un breve periodo di volontariato di alcuni mesi, ma il servizio civile gli ha permesso di trascorrere un periodo più lungo. “Non basta mai il tempo per capire questa Terra e questo posto” ci dice Filippo, anche lui studente di Scienze politiche, “Ma stare qui per un periodo prolungato mi ha dato una prospettiva più ampia con cui guardare i fatti che ci circondano. Impagabile è stato poter conoscere tante persone e le loro storie; pur con tutti i suoi problemi e difficoltà, Betlemme mi ha fatto sentire di vivere in una comunità”.

Giulia e Fabio, invece, si sono dovuti spostare spesso con i mezzi locali per raggiungere altri luoghi di lavoro: “Abbiamo sperimentato la vera vita dei palestinesi: il traffico, le lunghe code ai check-point e l’incertezza di poter raggiungere il luogo del lavoro, ma allo stesso tempo la collaborazione e solidarietà della gente in fila”. Fabio, neolaureato in Storia e Scienze delle religioni, veniva ogni giorno a lavorare nell’archivio corrente della Segreteria della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, mentre Giulia, giovane architetta, seguiva in tutta la Terra Santa Osama Hamdan, l’architetto responsabile dei progetti di restauro di ATS pro Terra Sancta e della Custodia.

“A Betania ho trovato una famiglia” dice Giulia “Vedevo come barriera il non saper parlare la lingua locale e come ostacolo il mio essere donna in un ambiente prettamente maschile. In realtà fin da subito il mio pregiudizio è stato smentito: ho ricevuto stima e rispetto, ho potuto seguire lavori a cui probabilmente un neoarchitetto in Italia non avrebbe accesso”.

Ognuno, tornando a casa per celebrare il Natale nelle proprie famiglie, porta a casa un pezzo di umanità incontrata in queste terre, forse il dono più prezioso di questa esperienza.