Betlemme ai tempi del Coronavirus

Giacomo Pizzi13 Marzo 2020

Racconti di una Betlemme ai tempi del Coronavirus. Dopo i primi casi di turisti risultati positivi al test, chiusura totale della città. Strade deserte e popolazione chiusa in casa. Associazione Pro Terra Sancta continua a rimanere sul campo e ad aiutare anziani e malati, la fascia più a rischio di essere colpita dal virus.

Una videochiamata su Skype, una telefonata via whatsapp. “Come va lì?”.  “Stiamo bene ma siamo isolati”. Conversazioni ai tempi del Coronavirus. Contatti, seppur virtuali, che grazie alle nuove tecnologie, ci fanno sentire meno soli. A separare gli uffici di Associazione Pro Terra Sancta di Betlemme e di Gerusalemme non è solo la barriera che divide i Territori Palestinesi e Israele, ma anche l’isolamento forzato a causa della diffusione del virus nell’area di Betlemme.

Anche in Terra Santa la situazione si è evoluta velocemente: dopo i primi casi di israeliani infetti di ritorno dall’Italia e dall’Europa, sono stati i turisti stessi, attesi in grande numero per tutto il 2020, a portare con sé il virus dalle loro zone di provenienza. Dopo il caso dei nove turisti coreani risultati positivi, il 5 marzo si sono registrati i primi quattro casi di CV-19 a Betlemme: quattro greci ospiti dell’Angel Hotel di Beit Jala, paese a pochi kilometri con Betlemme. Da loro è partita l’inevitabile catena di contagi: l’autista, alcuni membri del personale dell’hotel sono risultati positivi al test. Nel giro di una settimana in Cisgiordania i casi sono passati da 4 a 31, 28 solo nell’aerea di Betlemme, 35 in tutta la Palestina.

Chiusi tutti i check-point

Con il virus, sono arrivate le misure, tempestive e, per una volta congiunte, dell’Autorità Palestinese e del Governo Israeliano. Chiuse le scuole e le università, chiuse le chiese, le moschee e le aree di culto. Chiusa la Basilica della Natività, non succedeva dagli anni dell’Intifada. Vietati gli assembramenti di persone. Anche i betlemiti restano a casa. Vietato l’ingresso ai turisti, cordate di pullman abbandonano la città. La principale fonte di sostentamento per i betlemiti, il turismo, deve essere interrotta per cause di forza maggiore e si possono solo ipotizzare i danni che tutto ciò comporterà ad un’economia di per sé già fragile e traballante.

Venerdì 6 marzo sono stati chiusi i check-point che permettono il passaggio e gli scambi tra Israele e i Territori. L’8 marzo Betlemme è diventata zona rossa con tutto quello che – ormai lo sappiamo bene – sta a significare. Quarantena per tutti coloro che sono stati nella zona. Gli abitanti escono il meno possibile. La paura è tanta.

Sono rimasti in pochi a dare una mano, stiamo cercando di aiutarli prendendo tutte le precauzioni necessarie. Non possiamo lasciare i betlemiti soli

Vincenzo Bellomo, responsabile dell’ufficio di Associazione Pro Terra Sancta a Betlemme, ci aggiorna sulla situazione: “Non stiamo andando in ufficio, ma proviamo, ognuno con le proprie forze, a lavorare da casa per portare avanti alcuni progetti in corso e non lasciare i betlemiti soli”.  Sotto la guida di Vincenzo ci sono alcuni giovani volontari italiani e colleghi palestinesi che al momento lavorano dalla loro abitazioni. Alcuni volontari continuano a recarsi all’Hogar de Niños, il centro per bambini con disabilità gestito dalle suore del Verbo Incarnato. “Sono rimasti in pochi a dar loro una mano, stiamo cercando di aiutarli prendendo tutte le precauzioni necessarie”, ci dicono Umberto e Anna, due dei volontari che sono rimasti a Betlemme.

Sono fermi invece i progetti “Casa” e “Acqua. Data le condizioni attuali non è possibile svolgere i lavori di ristrutturazione delle case e installare nuove cisterne per le famiglie più bisognose. Ma non si ferma il lavoro di Naila Nasser, assistente sociale, che per Associazione Pro Terra Sancta si occupa dell’emergenza sanitaria a Betlemme. È stato attivato un numero di emergenza per rimanere a disposizione dei malati e delle famiglie e non lasciarli soli in un momento difficile. La situazione sanitaria dell’area è ciò che maggiormente preoccupa i cittadini e i cooperanti che operano sul territorio. Il forte rischio è che nei Territori manchino le forze per sopperire a un’emergenza della portata di quella italiana o cinese. Per tale motivo i palestinesi sembrano eseguire le direttive emanate in modo rigoroso. Si è intensificata la presenza di militari nelle strade e sono severi i controlli per chi lascia la propria abitazione in modo indebito.

Come negli altri paesi, anche qui è forte la preoccupazione per gli anziani, la fascia più colpita dal virus, e per i soggetti a rischio con diabete, ipertensione e problemi cardiaci. “Abbiamo procurato alcune mascherine, divenute quasi introvabili, per gli anziani della Società Antoniana” – ci racconta Vincenzo – le suore sono rimaste con pochi operatori ad aiutare i malati”. La Società Antoniana, che ospita una trentina di anziani, è l’opera che in questo momento sta soffrendo di più e che ha bisogno del nostro sostegno, ribadisce Bellomo.

Fa male sentire di questa situazione. Chiudiamo la telefonata con la promessa di rimanere costantemente in contatto e con un pensiero all’Italia, il paese caro a tutti i volontari della Terra Santa. All’Italia vanno le nostre preghiere e il nostro supporto, sicuri che solo con la solidarietà e la collaborazione di tutti si potrà sconfiggere insieme questa pandemia mondiale.